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I Trulli di Alberobello

I Trulli di Alberobello

Il centro storico Monumentale di Alberobello è costituito da due Rioni: il Rione Aia Piccola ed il Rione Monti.

Due rioni dal tessuto edilizio omogeneo, costituito da unità a trulli accorpate in maniera seriale, anche se occasionale.
L'esistenza di queste realtà ha determinato l'iscrizione dei trulli di Alberobello nella lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità il 7 dicembre 1996 . La motivazione fornita dal Centro del Patrimonio Mondiale per giustificare l'iscrizione nella W.H.L. è stata: "i trulli di Alberobello rappresentano un sito di valore universale ed eccezionale in quanto sono l'esempio di una forma di costruzione ereditata dalla preistoria e sopravvissuta intatta, pur nell'uso continuativo, fino ai nostri giorni".

I trulli di Alberobello, oltre ad aver conservato la tipologia edilizia, che nel corso dei secoli si è mantenuta quasi ovunque intatta ed immune da contaminazioni e da interventi non conformi alle tecniche costruttive tradizionali, hanno conservato in parte anche la destinazione, quella abitativa, specialmente nel Rione Aia Piccola. Queste caratteristiche così forti contraddistinguono Alberobello da tutto il contesto territoriale, rendendola unica al mondo.

La tipologia architettonica del trullo è presente in maniera sparsa in tutta la Valle d'Itria, e raggiunge l'eccezionalità ad Alberobello, dove il tessuto edilizio del centro storico monumentale è interamente costituito da queste particolari unità edilizie. Alberobello, infatti, è l'unico esempio di città in cui esiste una presenza così massiccia di agglomerato urbano costituito da trulli. In tutto il bacino del Mediterraneo sono presenti muretti e sporadiche costruzioni in pietra a secco, ma non esistono centri urbani con un tessuto edilizio omogeneo formato da unità d'uso tutte in pietra a secco ed a copertura conica, tipica del trullo.

La prima attestazione del toponimo "Alberobello" si trova in un documento del 1272 che parla di una Sylva aut nemus "arboris belli" (Selva o bosco dell'albero della guerra), detto volgarmente "Arburella". Il nome mostra come, in effetti, non si trattasse di un abitato, ma di un bosco, destinato a diventare "difesa", ossia area chiusa di caccia ad uso dei conti d'Acquaviva d'Aragona.
Di costruzioni si fa menzione nel diploma di investitura con il quale, nel 1481, il re Ferrante d'Aragona assegnava ad Andrea Matteo Acquaviva i feudi della Contea di Conversano, fra cui la Sylva Arboris Belli "con taluni diruti casali", che però non è detto avessero già forma di trullo.
Lo storico nocese Pietro Gioia, invece, data la colonizzazione della Selva, a partire già dal XV secolo, per volontà dei loro possessori: i conti di Conversano Acquaviva d'Aragona, i quali vi conducono gente da Noci e da altri feudi vicini per coltivarla, lasciando sorgere grezzi casolari o caselle, ma senza attribuirne alcun titolo di proprietà. I caratteri specifici dell'abitato pastorale o silvestre in pietra a secco inducono il Gioia a definire con troppo anticipo la formazione di Alberobello; più corretta la datazione, invece, se si fa riferimento al primo abbozzo insediativo.
Alberobello come centro urbano nasce e cresce sulle pendici di una "lama" (ossia un avvallamento) senza mura difensive, priva di edifici rappresentativi, dimore nobiliari e conventi. Dai documenti del XVI secolo che descrivono il territorio, sembra che, a parte le specchie sparse nella radure e nei boschi e le poche masserie appartenenti agli enti ecclesiastici e ai conti, l'unico tipo di costruzioni ammesso nel territorio fosse la casella costruita "a crudo", che permetteva facilità e rapidità d'esecuzione, ma non garantiva il comfort abitativo della costruzione con malta. È quasi certo che la diffusione della tecnica della costruzione senza malta nelle aree demaniali extraurbane sia stata una conseguenza dell'abbondanza di materiale lapideo della zona.

La notevole distanza fra il potere centrale del Regno di Napoli e le aree periferiche come quella dove sorgeva Alberobello, danno origine al fenomeno della creazione di insediamenti senza licenza del viceré. Fondamentale, in questo contesto, risulta la Prammatica "De Baronibus XXIV" del XVI secolo, con la quale il governo tenta di arginare tale fenomeno, dovuto soprattutto all'immigrazione di Albanesi fuggiti al dominio dei Turchi, che lasciavano la terra natia e si trasferivano in altri luoghi attratti dai conti che, con franchigie e immunità, si procuravano manodopera da sfruttare a discapito degli altri abitanti, che subivano il danno delle migrazioni.

Così fino al XVIII secolo i trulli e l'abitato di Alberobello restano l'espressione di una comunità segregata e povera, autorappresentazione di una civiltà contadina in lotta per la sua stessa sopravvivenza e per un riscatto che, fortunatamente, non si sarebbe fatto attendere a lungo.
(Sintesi dagli atti dei Seminari di Studio del prof. Luca DE FELICE, gestore del Museo del Territorio di Alberobello)