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Brevi cenni sul brigantaggio e a famigerate brigantesse meno note

Brevi cenni sul brigantaggio e a famigerate brigantesse meno note

 Il fenomeno del brigantaggio, presente per circa 1800 anni, salvo a classificarlo in modo diverso in altre parti del mondo, viene presentato in sintesi ridotta.

     Ha scritto Francesco Saverio Nitti "Ogni parte d´Italia, oserei dire ogni parte di Europa, ha avuto banditi e malviventi, che in periodi di guerra o di sventure hanno dominato la campagna e si sono messi fuori della legge. Si può dire anzi che, in alcuni paesi dell´Europa centrale, il brigantaggio sia stato per secoli una vera istituzione; e i banditi della Germania, che i romantici hanno spesso idealizzato, in brutalità e in ferocia hanno segnato pagine assai piú sanguinose delle nostre".

     Il termine brigantaggio, a sentire Giustino Fortunato, ha indicato l´attività criminale comune, la rivolta o l´insurrezione sociale contro i poteri costituiti di quella parte della società rosa dalla miseria.

     Per Jacopo Gelli, invece, il termine brigante venne coniato dai Romani e affibbiato ai popoli indomiti che dall´Africa settentrionale si riversarono nella Spagna e anche al popolo basco, indomito e ribelle all´autorità romana.

     Il brigantaggio nacque e venne sempre confermato durante l´impero di Claudio, di Vespasiano e di Antonino Pio.

     Chi furono, quindi, i briganti? Coloro che produssero un iniziale stato di violenza nelle città e nelle campagne e R. Church, generale, che combatté il fenomeno nel corso del 1800, definì la compagnia di briganti una banda di grassatori [chi sulle vie pubbliche aggredisce a mano armata per derubare il viandante], una squadra piccola di gente in armi stipendiata dal governo a sostegno della tranquillità pubblica. Come tutto ciò fu possibile?

     Ogni qualvolta i regnanti, ma anche i pontefici, vedevano barcollare il loro regno organizzavano comitive di gente dissoluta che, munita di armi, di polvere da sparo e di denaro, venivano sguinzagliate nelle campagne. L´allusione è al fenomeno generato sotto i Borbone, allorquando per ben due volte persero il regno.

     Il brigantaggio tante volte venne distrutto, tante volte risorse; piú la repressione diveniva violenta, piú rafforzato rinasceva.

     Ne 36 a.C., Ottaviano, avendo sconfitto Sesto Pompeo, figlio minore del grande Pompeo, rimase unico signore dell´Italia; egli comprese che nessuna riforma sarebbe stata efficace se non fosse stato affrontato l´ordine pubblico interno, dal momento che le terre italiche erano nel disordine generale ed erano percorse da un gran numero di briganti, raggruppati, talvolta, in vere bande armate.

     Egli, allora, affidò al luogotenente Sabino il compito di sterminarli e di ristabilire l´ordine su tutto il territorio nel giro di un anno.

     Se l´obiettivo fu raggiunto, dall´altra parte i latifondisti che non potevano ricorrere agli schiavi di guerra, appannaggio dell´imperatore, pensarono di recuperare la manodopera organizzando vere e proprie bande di sequestratori che lungo le strade, sia maestre sia appartate, apparivano all´improvviso, fermavano i viandanti, non badando alle loro condizioni, liberi o schiavi, li trascinavano nelle masserie per costringerli al lavoro coatto e qui, sostiene Vito Antonio Sirago, vi restarono per sempre a lavorare, senza che i famigliari ne fossero a conoscenza. Plinio il Giovane riferisce che durante gli imperi di Domiziano (81-96) e di Traiano (98-117), molti per la loro sicurezza ricorrevano all´utilizzo di cani di razza.

     Prima ancora, il fenomeno del banditismo fu fiorente sotto Tiberio (14-37), che non trascurò ogni aspetto per colpirlo.

     La Puglia, la "terra del fuoco nascosto", era il serbatoio delle rivolte; essa era controllata da un quaestor fornito di truppe, mentre navi vedette perlustravano le coste pronte a sbarcare in caso di estremo bisogno.

     Celebri briganti furono Tito Curtisio, sotto Tiberio, un ex soldato della coorte stanziata nella nostra regione; Geta, uno schiavo, brigante che aspirava a grandi cose, ma finì inchiodato sulla croce sotto Nerone; e Felix Bulla, il brigante che tenne sulla corda per vari anni i reparti armati; veniva sempre informato dei movimenti delle truppe dell´imperatore sia che arrivassero per via mare nel porto di Brindisi sia che fossero inviate da Roma. Cadde nella trappola per una donna, fu catturato nella grotta dei convegni amorosi. Processato, fu dato in pasto alle belve.

     La piaga del brigantaggio si fece sentire e il fenomeno divenne virulento anche durante il Medioevo, allorché interi gruppi di contadini, sotto il governo dei viceré spagnoli, si diedero alla macchia.

     Le masse contadine si rivoltarono contro i proprietari delle terre e i galantuomini durante gli sconvolgimenti della Repubblica Napoletana del 1799 e altri episodi briganteschi si ebbero sotto i governi costituzionali del 1820-21 e del 1848.

     Il ribellismo contadino divenne piú brutale nell´Italia meridionale e, come sostenne Tommaso Pedio, non fu un fenomeno di cui vergognarsi e, quindi, da espellere dalla nostra storia risorgimentale, anzi aggiunge, per coloro che lo conoscono è stato una delle pagine piú interessanti, se non la piú interessante della storia meridionale. Se il 1860, come osservò Giustino Fortunato, divenne rivoluzione politica della borghesia, il brigantaggio fu, invece, reazione sociale della plebe, frutto di secolare abbruttimento, di miseria e di ignoranza; per Franco Molfese, invece, esso è da considerarsi la manifestazione estrema di un movimento rivendicativo e di protesta che si elevò fino a forme rozze della classe contadina in una società molto arretrata con forti sopravvivenze feudali che potremmo definire economicamente sottosviluppata.

     Le bande, dunque, nacquero con la disgregazione del tessuto sociale, l´arretratezza e la miseria delle campagne meridionali. Tutto ciò accadde di frequente nel Regno di Napoli. Il fenomeno assunse proporzioni grandiose nel periodo post-unitario e solo con la legge Pica e per il coraggio del generale Emilio Pallavicini venne arginato; occorse, bisogna dirlo, un esercito di 120.000 uomini.

      Il fenomeno del brigantaggio riguardò tutto il Meridione nel periodo pre e post unitario. I briganti con le loro azioni criminose erano presenti negli Abruzzi, nello Stato Pontifico, nell´Emilia Romagna e perfino in Piemonte.

     Nel Regno delle Due Sicilie si rinvigorì nel periodo dell´invasione francese e per la grave crisi agricola del 1801-1803. Proliferò con numerose bande che terrorizzavano gli abitanti di numerosi paesi, dando quasi sempre scacco matto al neogoverno.

     A nulla valsero i corpi ausiliari che avrebbero affiancato l´esercito, a nulla valsero le taglie alte per i soggetti piú pericolosi.

     L´altro momento nero che alimentò il crimine organizzato in bande fu l´aumento del prezzo del grano e l´epidemia di peste che si protrasse dal novembre 1815 al giugno 1816; il brigantaggio si rinfocolò tanto da far emettere un decreto che mirava al suo sterminio in Calabria, in Basilicata, nel Molise e nella Capitanata.

     Leggi severe vennero emanate da Ferdinando IV e riconfermate dal figlio Francesco I fino al 1830, allorché fu posto sotto controllo, ma divampò in occasione delle carestie e delle epidemie.

    Nel 1837 si diffuse il colera e le tensioni politiche e sociali si riacutizzarono; si ebbe la ripresa del brigantaggio soprattutto nelle zone dove non era stato eliminato del tutto.

     In concomitanza degli avvenimenti politici del ´48 il brigantaggio infuriò e, nel 1850, l´intero territorio della Calabria fu posto in stato di assedio revocato nel 1852.

     C´era, tuttavia, un errore di fondo, quello di considerare il fenomeno come l´azione di criminali; non si volle comprendere ch´esso era originato da fattori sociali, come la miseria innanzi tutto, l´ignoranza e l´arretratezza delle plebi rurali o l´introduzione di norme poco gradite alla popolazione (la coscrizione obbligatoria, la tassa sul macinato, le oppressioni delle classi dirigenti autoctone). L´indigenza, la disoccupazione e il costo della vita determinarono il passaggio al brigantaggio. Nel Sud, il fenomeno riesplose immediatamente dopo l´Unità d´Italia e si protrasse fino agli anni ´70, sino all´annientamento con l´impiego di forze e con mezzi enormi. Ecco che cosa scrisse Alfonso La Marmora al Prefetto di Potenza: "Se l´ignoranza e la ferocia sono i caratteri delle classi inferiori, l´egoismo, l´intrigo e la sete di dominio sono quelli dei cosiddetti galantuomini..., se non vi fosse stata la truppa le plebi, per tanto tempo maltrattate, avrebbero finito per trucidare i così detti liberali e galantuomini".

     Bettino Ricasoli, succeduto a Cavour, che piú volte aveva segnalato la complessità della questione prima della sua morte precoce, mostrò di ascoltare quanto gli scrisse Peruzzi da Napoli: "L´aristocrazia e il clero sono generalmente borbonici, il ceto medio abituato a vivere d´impieghi e, piú che dello stipendio, del furto per il quale traeva dall´impiego argomento di guadagno, è scontento perché ora ruba meno o perché ha perduto gli impieghi o perché teme che le riforme non compiute, ma annunziate, lo privino".  Occorreva "togliere da Napoli l´officina degli impiegati"; le nomine andrebbero fatte da Torino per evitare "forme d´insistenza e di raccomandazioni" per non avere sul luogo "influenze personali e minacce" e "attivare lavori in piú parti dell´ex-regno per combattere la miseria e arginare le conseguenze", come era stato promesso "dal precedente e dal Governo del momento", dando l´esempio di un governo forte e di un´amministrazione imparziale capace di soddisfare le legittime istanze delle popolazioni, di promuovere l´istruzione pubblica e la prosperità morale. Sia Peruzzi sia Minghetti sia Spaventa sapevano che il brigantaggio era sostenuto dai possidenti meridionali. Andava spezzato quel cordone. Ci pensò il generale Pallavicini, assumendo nel 1864 il comando della zona di Melfi e di Lacedonia, "dove organizzò il servizio di spionaggio e di polizia, aumentando la pressione sulle famiglie dei briganti in modo da farli cedere. Ottenne il risultato ricercato".

    Nonostante "il grande brigantaggio iniziasse a perdere terreno", il fenomeno rimase crudele anche negli anni a seguire, "come nel Chietino, nella zona dell´Aquila, nel Salernitano, in Calabria e nella zona di Lagonegro in Basilicata". Secondo Bettino Ricasoli, gli errori erano da ricercarsi "nell´inadeguatezza, nella disorganizzazione e nella confusione del sistema allora vigente" e a cui concorrevano anche le autorità politiche e militari. Si rafforzarono in quel periodo la camorra, che nacque nelle prigioni napoletane sin dal 1830, e la mafia, il cui termine venne coniato nel 1863.

    I due mali endemici misero a dura prova le prime maggioranze governative e la stabilità dello Stato e mentre il brigantaggio fu lentamente distrutto, le mafie sopravvissero, consolidando il rapporto con il potere politico. Il questore di Palermo, Ermanno Sangiorgi, nel 1898, disse una sacrosanta verità: "i caporioni stanno sotto la tutela di Senatori, Deputati e altri influenti personaggi che li proteggono e li difendono per essere poi, a loro volta, da loro protetti e difesi".

     Se da una parte il brigantaggio è coniugato al maschile, dell´altra poco si sa o poco si è scritto sul coinvolgimento delle donne nello stesso fenomeno; soprattutto furono vittime, irrilevante il numero delle protagoniste, il piú delle volte erano le amanti del capobrigante. Qui si omette di descrivere le brigantesse note, delle quali internet fornisce aspetti biografici piú o meno ampie. 

      Si diventava vittima allorquando la donna era bella e il brigante n´era catturato dalle sembianze; si diventava protagonista quando il coraggio era pari a quello dell´uomo. Nel primo caso, si narra di una giovane e bella fanciulla di Potenza  curiosa di osservare il passaggio del prepotente Taccone e della sua banda sotto casa, tanto da sollevare la cortina della finestra. Il brigante, che s´era fatto vivo con minacce il giorno precedente, si recava in quel mentre alla chiesa di san Gerardo, dove attendeva i potenti della città potentina per ricevere l´omaggio delle autorità civili e religiose e queste, tutte, compreso il popolo, si posero in ginocchio davanti al bandito per chiedere d´essere risparmiati dal saccheggio. Il briccone si mostrò indulgente, tanto da pretendere una festa in suo onore. Immediatamente dopo il corteo mosse verso la cattedrale, dove il vescovo intonò il Te Deum. Mentre il trionfatore riattraversava la città, lo sguardo cadde sul bel volto della fanciulla che aveva osato osservarlo, sollevando la tendina. Bastò un cenno ad uno dei suoi sgherri perché la stessa fosse prelevata e posta di traverso sulla sua sella. La fanciulla fu portata via. Si dice che il generale Manhés, postosi sulle tracce del delinquente, chiese della ragazza; scoprì che era stata uccisa dallo stesso brigante perché non volle cogliere la fortuna d´essere la concubina di un uomo come lui e che per tale ragione non era degna di restare in vita.

    A differenza di questo triste epilogo, Emanuela Pennacchio, invece,  fu ricattata del malavitoso Schiavone, che già conviveva con tale Rosa Giuliani, abbandonò tutto e corse a vivere con lui. Chi non dimenticò fu Rosa, che si vendicò della nuova amante, denunciando il compagno ai soldati, che lo arrestarono e lo condussero sul patibolo, dove egli vi giunse con aria spavalda e con una sigaretta tra le labbra, ma con il vivo desiderio di rivedere per l´ultima volta la sua Emanuela.

     Innamorata del brigante Parri fu una giovane che volle condividere le sorti del suo uomo e quando questi mandò un componente della banda per ritirare la biancheria e le vettovaglie, ella preferì portarle di persona per rimanere con lui alcuni giorni. Dovendosi il bandito trasferire in un luogo lontano, ella non esitò a dirgli: "Voglio stare con voi e fare il bandito". Peppinella, questa era il suo nome, dopo le reiterate insistenze a ritornarsene a casa, tagliò corto e disse: "Dove corre, corre la mia pianeta, e mi lascio con voi".

     Un´altra Emanuela venne amata perdutamente dal brigante Tortora e, ovunque egli andasse, lei gli fu sempre accanto. Cavalcava come un uomo e indossava abiti maschili. Nella buona e nella cattiva sorte lei gli fu sempre accanto. Durante uno scontro con la truppa, si trovò lontana dalla compagnia; nel corso della fuga preferì entrare nel gruppo di Coppo, componente della stessa masnada, il quale la portò nel bosco di Lagopesole per sedurla. La sua resistenza non la salvò dalla morte. Il malandrino stesso, a sua volta, fu ucciso in duello dal Tortora che volle vendicare la sua amata.

     Un altro avvenimento molto grottesco fu il legame amoroso di una ragazza con l´assassino dei suoi quattro fratelli e del padre.

     Il brigante Bizzarro divenne sanguinario dopo aver sedotto la figlia di un possidente presso il quale prestava lavoro. I fratelli, per vendicare l´onorabilità della fanciulla, massacrarono con diverse pugnalate il servitore sleale. Consideratolo morto, aveva solo perso i sensi, lo abbandonarono in un campo; l´infelice riuscì a portarsi lontano e trovò rifugio presso qualcuno ch´ebbe pietà del suo stato e dopo essere guarito fece perdere ogni traccia di sé. Di lui si ebbero notizie allorché si seppe che faceva parte di una comitiva di delinquenti con finalità politiche. Il fuorilegge, dando prova di bravura e anche di efferatezza, si pose al comando della brigata, che lo riconobbe come capo. Nell´animo covava la vendetta contro i due fratelli e l´occasione si presentò durante una grande festa religiosa. Dopo aver fatto circondare la chiesa, intimò ai fedeli di uscire e nel mentre sortirono i due li uccise senza alcuna pietà; gli altri due fratelli furono scovati dietro l´altare e colpiti a morte.

     Della famiglia rimanevano in vita il padre e la figlia. Andò a cercarli.  L´anziano possidente era a letto ammalato e, nonostante le implorazioni della figlia, Bizzarro con una pugnalata gli troncò la vita. Portò con sé la ragazza. Alessandro Dumas, che in quel periodo era nel Regno delle Due Sicilie per un incarico amministrativo, ci fa sapere: "In quella sciagurata donna l´amore fu piú forte dei legami del sangue: ella aveva amato il Bizzarro vittima della sua famiglia, continuò ad amare il Bizzarro uccisore dei suoi. E da quel momento, essendosi la banda del brigante ordinata militarmente, ella sempre a cavallo presso l´amante, vestita da uomo, fu veduta far mostra in quella guerra febbrile del brigantaggio di un coraggio e di una audacia che la fecero degna compagna del Bizzarro". Fu catturata durante un´imboscata e, messa in prigione, si spense per il dolore inconsolabile per essere stata divisa dall´uomo della sua vita. Il suo uomo, però, non tardò a consolarsi con un´altra; s´invaghì di Nicolina Ricciardi che gli diede un figlio, costretta a portarlo con sé durante i numerosi spostamenti. Sempre inseguito dalla truppa, il bandito fece disperdere la sua banda e lui e la sua compagna si rifugiarono in una grotta che aveva un ingresso angusto, occorreva strisciare per entrarci. Se da una parte quello fu ritenuto il rifugio sicuro, dall´altra incombeva sui due ricercati il pianto supplichevole del neonato che chiedeva il latte materno. Le condizioni dell´infelice bimbo erano sconfortanti, non vivendo in un ambiente sereno e al caldo, aggiungi poi lo scarso latte prodotto dalla puerpera che, mal nutrendosi, non ne produceva. Nonostante i tentativi della mamma di acquietarlo, una notte i gemiti divennero frequenti e per evitare che qualcuno potesse ascoltarli, il Bizzarro s´avvicino alla madre e gli strappò dalle braccia il figlio, lo afferrò con un piede facendogli sbattere la testa sulla roccia, uccidendolo. La sciagurata trattenne il suo impeto, prese il corpicino senza vita, lo avvolse nei suoi miseri panni, e con un coltello cavò la terra per una minuscola buca e lo seppellì.

     Non abbandonò, tuttavia, l´idea di vendicare il figlio. Una notte mentre il Bizzarro dormiva profondamente, accostò il fucile all´orecchio dell´uomo e premette il grilletto. Col coltello recise il capo e l´indomani raggiunse un posto avanzato di un reparto di militari ai quali consegnò la testa del suo amato. Ella reclamò che le fosse consegnata la taglia di mille ducati che pendeva sulla testa dell´uomo.

    C´è da chiedersi se le donne dei briganti furono anch´esse brigantesse, semplici gregarie o addirittura capibrigante? Quali reati commisero tanto da sfiorare la condanna a morte o i lavori forzati?

     Solitamente erano giovanissime ragazze e talvolta anche minorenni. Nonostante i mille disagi a cui andavano incontro, esse condivisero con gli uomini malavitosi ogni forma di piacere o il dolore, la fame il patimento delle gelate notturne sotto le tende o in ripari di fortuna. Una brigantessa confessò: "Dormivamo con le gambe tirate fino alla pancia, quando andava bene su un giaciglio di felci che in poco tempo però veniva bruciato perché al centro della capanna doveva restare il posto del fuoco. Così la notte di solito giacevamo sulla terra nuda. In queste capanne mancava l´acqua che andavamo a prendere al pozzo. Per un solo barilotto bisognava andare e venire almeno dieci volte. Noi donne dovevamo provvedere a procurare il pane, le forme di cacio pecorino, i maccaroni".

     Si poteva cantare a bassa voce nei covi e allorché c´era il passaggio dei militari era proibito perfino starnutire o tossire.

    Maria Oliviero di Serrapedace, prov. di Catanzaro, aveva vent´anni quando sposò il giovane Pietro Monaco. Dopo aver sgozzato sua sorella, divenuta amante del proprio marito, ella indossò i pantaloni di fustagno di Pietro, il giubbotto, un cappellaccio, si armò di pugnale, di un fucile a tracolla e sul sorso d´un mulo si diresse sull´Aspromonte dove si fece capobrigante di una banda messa su dal marito. S´azzardava a entrare nottetempo nel suo paese per chiedere il pane e altre vettovaglie. I suoi compaesani le volevano bene, tanto da ospitarla piú volte nelle loro case. Quando fu catturata, riuscì simpatica perfino ai soldati, ai quali s´era dichiarata brigantessa.

    In quanto a ferocia, le ragazze dedite al brigantaggio non erano da meno degli uomini; si narra di Caterina Colacicchio che in preda alla vendetta inzuppò un tozzo di pane nel sangue di un giovane garibaldino che aveva avuto l´ardire di arrestare suo marito, Nicola Lillo, cibandosi tra gli applausi degli astanti. Un simile gesto fu compiuto da Margherita Giannico, la quale prese parte al brigantaggio e fu così efferata che con gesti cannibaleschi intingeva le mani nelle ferite degli uccisi e le portava alla labbra.

     Durante i combattimenti, nel momento della resa, molte delle brigantesse per non essere uccise dai proiettili dei militari, mostravano, calandosi i pantaloni, le cosce o la pancia, perché incinte, o addirittura si scoprivano il petto. Il gesto di una di queste non piacque ad un soldato, al quale mostrò il petto e l´invito a non spararla perché donna, ma quello la freddò ugualmente.